E' vero: sono una donna sola con due bambini da crescere.
E' vero: ho davvero tante cose a cui pensare.
E' vero che, tra casa, lavoro e figli, il tempo non mi basta mai.
E' vero che avrei bisogno, non dico tanto, ma di 2/3 ore in più al giorno!
E' vero che "sorella ansia" e "fratello stress" fanno da sottofondo a tutte le mie giornate.
E' vero che a volte finisco per trascurare temi molto importanti.
E' vero anche che questi temi molto importanti spesso riguardano la mia salute.
E poi oscillo. A volte mi sento una roccia e altre volte mi sento un granellino di sabbia.
A volte mi nutro solo di persone e circostante positive, altre volte ricerco negatività e attiro ossessioni.
A volte preparo degli ottimi pranzetti, altre volte invece metto in tavola solo un po' di pane e formaggio.
A volte sono tanto paziente da stupirmi di me stessa e altre volte basta un niente per farmi saltare i nervi.
Nel complesso mi sento soddisfatta e serena: me lo ripeto ogni giorno!
Poi, dopo tutte queste riflessioni, arriva un momento in cui ti rendi conto che qualcosa non va.
Ieri sera ho "strattonato mia figlia spingendola e facendola cadere" solo perché lei, per sbaglio, aveva fatto scivolare il fratellino più piccolo nella vasca da bagno. Dopo questo gesto ho visto la paura sul volto della mia piccola e ho avuto paura a mia volta.
Come è possibile che mia figlia sia spaventata dalla sua mamma? Ho realizzato questo e mi sono messa a piangere come una bambina piccola anche io.
Non ho capito perché, non ho capito quale istinto mi ha portato a strattonare in malo modo la mia bambina.
Ma so che un istante dopo l'accaduto ho visto la mia bambina interiore, quella che tutti noi ci portiamo dentro dalla nostra infanzia ma che non riconosciamo, quell'essere piccolo e indifeso in cerca di amore che rimuoviamo dal nostro pensiero cosciente, ma che scandisce molte cose del nostro essere presente.
E mi sono detta: forse anche io ho avuto paura della mia mamma quando ero piccola? Sto replicando da adulta un comportamento che mi ha fatto male da bambina?
E allora mi sono ricordata della storia di quel piccolo cucciolo di elefante, che, legato per una zampa a un albero, impara a rinunciare a liberarsi a causa della sofferenza procuratagli dai suoi sforzi dolorosi, il pensiero del dolore rimane nei suoi comportamenti per tutta la vita, e anche quando l'animale è talmente cresciuto da poter sradicare un albero dalle radici lui rinuncia all'esperienza, ci rinuncia per tutta la vita.
La mia rabbia di ieri sera non ha senso, da qualsiasi parte del passato essa provenga non ha senso.
Il passato non può pesare così tanto da farmi legare simbolicamente ad un albero la mia bambina.
Così, all'improvviso dopo il gesto e la rabbia, è arrivata questa consapevolezza, con lei è arrivata anche una sensazione, profonda e radicata, che, proprio da questa nuova potente consapevolezza, incomincia il mio cammino.
martedì 21 ottobre 2014
giovedì 18 settembre 2014
Cuore di mamma
Ieri ho sofferto molto.
Ho sofferto in silenzio, mi sono messa da parte ad ascoltare mio figlio e ho sofferto.
Il mio bambino maschio ha 4 anni e come tutti i bimbi di questa età adora giocare con i bambini più grandi.
In particolare il mio cucciolo adora giocare con un bimbo che mi abita vicino, più grande di lui di qualche anno.
Per me questo cucciolo-vicino fa parte della famiglia, mi piace quando viene a trovarci, mi piace quando gli preparo uno snack, mi piace quando posso dedicarmi a loro.
Ieri sera, ho visto il mio cucciolo supplicare l'attenzione del suo piccolo amico vicino perchè il suo piccolo amico, che era con altri bimbi più grandi, non voleva farlo entrare in casa!
Tutto normale. E' normale che i bimbi più grandi abbiano voglia di stare insieme tra loro escludendo i bimbi più piccoli, è normale anche che il mio piccolo inizi a sorbirsi le sue delusioni. Non è facile per noi mamme: vorresti vedere i tuoi figli sempre sereni e contenti ma, quando realizzi che le delusioni fanno parte della vita, allora dai valore a quel momento anche se difficile, non lo rifiuti con inutili "argomentazioni da adulto" e lasci che i tuoi figli si vivano la difficoltà, senza intervenire, quasi come una palestra per quello che verrà.
E così ho fatto, il mio piccolo è stato tanto tempo fuori dalla porta del nostro vicino a elemosinare un'attenzione, a cercare un riscontro, a sperare di poter entrare. Io non sono intervenuta.
Poi sono iniziati gli insulti da parte degli altri bambini, porte chiuse in faccia con energia, "vattene via" detti con altrettanta energia, insulti banali tipo "sei fuori di testa", parole che, ad un bambino di 4 anni, risuonano come terribili manifestazioni di esclusione.
E allora il mio cucciolo è entrato in casa e mi ha detto: "mamma sono triste", poi è uscito nel cortile, è ritornato fuori dalla casa del mio vicino e ha gridato ai bambini che giocavano all'interno: "Ei voi, io sono triste lo capite, sono molto molto triste".
Io sono stata molto orgogliosa di mio figlio, aveva espresso in pubblico un'emozione così difficile come la tristezza. Mi ha ferito però poi notare come questa espressione, elemento di forza per me, è diventato insulto e diniego da parte degli alti bambini.
In quel momento il mio cuore di mamma ha preso il sopravvento.
Ho detto chiaramente agli altri bambini che potevano "non aver voglia di giocare con mio figlio" ma non potevano "insultarlo" e "ferirlo", anche perché, in molte occasioni, quando sono da soli, ci giocano volentieri con lui.giovedì 28 agosto 2014
La sorpresa
Lo scorso weekend non avevo i bambini con me e così ho deciso di prendermi qualche ora di svago e andare a trovare una mia amica nei pressi di Assisi. In realtà non conoscevo di persona questa mia amica, il canale delle "small families" (portale delle famiglie monoparantali) aveva favorito il nostro contatto e ci eravamo scritte via email. Già dai primi scambi avevo percepito una grande vicinanza emotiva con questa donna: single come me, mamma come me, sola come me. Era la prima volta che programmavo un viaggio così incerto ma qualcosa mi spingeva a conoscere questa persona e così sono partita senza farmi troppe domande. Sapevo che lei viveva in una comunità "spirituale", ma cosa questo significasse davvero non lo immaginavo.
Poi sono arrivata lì e l'energia del luogo si è completamente impossessata di me.
Tante persone e tanti ospiti che vivono insieme, meditano, coltivano la terra, pregano, disegnano, giocano. Ritmi lenti e tanta voglia di stare insieme, pace e serenità dietro ogni angolo, un abbandono totale alla gioia e alla condivisione, ma anche tante attività pratiche che servono a portare avanti la comunità e ad autosostenersi. Vi assicuro che fa un certo effetto, anche solo per poche ore, entrare in contatto con questo tipo di realtà, avevo sentito parlare delle comunità e degli ecovillaggi ma respirare l'aria di questi ambienti ti stordisce e ti apre a nuove riflessioni.
Tra le tante cose che ho visto la scuola è senza dubbio quella che mi ha più emozionato: classi piccole fatte di 3-4 banchi, valli e boschi tutt'intorno, case sugli alberi e sentieri di gioco per il tempo libero e frasi di gioia e consapevolezza scritte sulle lavagne. Potrei parlare dell'Accademia dell'Arte o della Cerimonia domenicale ma qualsiasi dettaglio io possa riportare non renderebbe l'intensità dell'esperienza. Volendo essere un po' realisti ti rendi conto che, anche in un contesto sociale così comunitario, la vita non può essere sempre "rose e fiori" come l'ho vista io, ci saranno sicuramente problemi di convivenza, scontri di personalità, equilibri economici da rispettare, il punto è che in un contesto del genere hai la percezione di poter affrontare meglio le difficoltà perché c'è un tessuto sociale e spirituale a sostenerti.
Questo breve viaggio mi ha portato lontano, non so bene dove e non so bene il significato di tante cose che si sono mosse dentro di me, ma ho sentito aprirsi delle porte, ho sentito risuonare delle domande.
Ha senso la vita che facciamo?
Ha senso correre dalla mattina alla sera per offrire a noi e ai nostri figli il meglio?
Siamo sicuri che sia davvero il meglio?
Rientrata a casa mi sono sentita davvero disorientata, come svegliata da un sogno.
Ho ancora qualche giorno di ferie prima di ritornare a lavoro e, quindi, ho ancora un po' di tempo per godermi gli echi emozionali di questa piccola pausa estiva, so però che presto lo stress del quotidiano affievolirà ogni benefica sensazione conquistata con questo viaggio. So anche però che le aperture e le riflessioni restano e, nei tempi giusti e noi modi giusti, generano nuove energie. Attendo fiduciosa.
giovedì 14 agosto 2014
I 10 errori più frequenti che fanno oggi i genitori (me inclusa)
Mi ha colpito quest'articolo, mi ha colpito e mi ha travolto come un fiume in piena perché, in questi errori, mi ci sono ritrovata!
Provo a sintetizzare ma, se masticate un po' d'inglese, provate a leggere l'articolo perché dettaglia con mille sfumature i 10 temi elencati di sotto (in cui tutti possiamo trovare un po' del nostro essere genitori).
Iniziamo:
Errore N.10: venerare i nostri figli. Alleviamo i nostri figli in case "bambino-centriche", la loro felicità è la nostra felicità
Errore N.9: Crediamo che i nostri figli siano perfetti. Non vogliamo sentire niente di negativo su di loro
Errore N.8: Viviamo indirettamente tramite loro. Consideriamo i nostri figli come un'estensione di noi e come se fossero la nostra "seconda chance"
Errore N.7: Vogliamo essere i migliori amici dei nostri figli e non perdere la loro approvazione
Errore N.6: Ogni genitore ha una vena competitiva che tende a trasmettere ai figli
Errore N. 5: Ci perdiamo la meraviglia dell'infanzia
Errore N. 4: Tiriamo su i figli che vogliamo e non i figli che abbiamo
Errore N. 3: Ci dimentichiamo che le nostre azioni sono più importanti delle nostre parole
Errore N. 2: Giudichiamo altri genitori e il loro figli
Errore N. 1: Sottostimiamo l'importanza di fortificare il carattere. E' difficile osservare i nostri figli cadere senza intervenire ma in molti casi è opportuno farlo. A volte bisogna accettare un "dolore a breve termine" per ottenere un "guadagno a lungo termine".
Io ne ho almeno 3 di questi "errori" che mi appartengono tanto.
Quali sono i vostri errori ricorrenti come genitori?
10 common mistakes
domenica 3 agosto 2014
Non ho molto da raccontare, a parte...
...il senso di vuoto che mi assale la domenica sera quando arriva il mio ex per prendere i bambini.
Il senso di pienezza che mi riempie quando sento che, nonostante tutto, sono sulla strada giusta.
Il caos che regna sovrano dopo un week end di giochi e di vita all'aria aperta.
Il lunedì che incombe inesorabile con i suoi molti doveri e pochi piaceri.
La casa piena di giocattoli e vestiti sparsi, inciampo e sorrido.
Il ricordo degli spruzzi e delle risate a crepapelle del nostro sabato in piscina.
Un po' di avanzi che girano nel microonde,
un po' di amore in attesa di essere trovato.
Questa sono io e, come dice una vecchia canzone degli anni '90, Ringrazio Dio!
Il senso di pienezza che mi riempie quando sento che, nonostante tutto, sono sulla strada giusta.
Il caos che regna sovrano dopo un week end di giochi e di vita all'aria aperta.
Il lunedì che incombe inesorabile con i suoi molti doveri e pochi piaceri.
La casa piena di giocattoli e vestiti sparsi, inciampo e sorrido.
Il ricordo degli spruzzi e delle risate a crepapelle del nostro sabato in piscina.
Un po' di avanzi che girano nel microonde,
un po' di amore in attesa di essere trovato.
Questa sono io e, come dice una vecchia canzone degli anni '90, Ringrazio Dio!
sabato 26 luglio 2014
La mia prima volta
Ho letto il mio primo libro a 7 anni
Ho dato il mio primo bacio a 12 anni
Ho subito il mio primo tradimento a 13
Ho preso il mio primo aereo a 14 anni
Sono andata al mio primo concerto a 15 anni
Ho acquistato il mio primo CD a 18 anni
Ho affittato la mia prima casa a 19 anni
Ho fatto per la prima volta l'amore a 20 anni
Ho preso la mia prima sbornia a 21 anni
Ho fatto il mio primo viaggio da sola a 23 anni
Ho preso la patente e acquistato la mia prima macchina a 24 anni
Mi sono innamorata perdutamente per la prima volta a 25 anni
Mi sono distrutta perdutamente perché lui mi ha lasciato a 26 anni
Ho ricevuto la mia prima busta paga a 29 anni, lo stesso anno ho acquistato il mio primo pc
Ho trascorso la mia prima notte in barca a 31 anni e, sempre a 31 anni, ho vomitato per la prima volta in barca
Ho pianto la mia prima morte importante a 33 anni
Ho acquistato la mia prima casa a 34 anni
Ho acquistato la mia prima cucina componibile a 35 anni
Ho partorito la mia prima bambina a 36 anni
Ho acquistato il mio primo rolex a 37 anni
Ho partorito il mio primo bambino a 40 anni
Ho lasciato andare per la prima volta il mio uomo a 43 anni.
Qual'è il senso di tutte queste prime volte?
Ieri sera sono uscita in giardino e l'ho capito.
Ero sola, i bambini erano già a letto, un grande silenzio mi circondava, solo la luce di una piccola candela alla citronella mi faceva compagnia.
Ho alzato gli occhi al cielo, tutto mi è sembrato più intenso e luminoso del solito e ho visto le stelle.
Erano tantissime e brillanti, sembravano lì per me, mi hanno aperto il cuore e la mente come mai prima.
Mi sembrava di guardarle "veramente" PER LA PRIMA VOLTA!
domenica 20 luglio 2014
Il mio castello di sabbia
Due giorni fa la tata dei miei figli mi ha chiesto se poteva portare i bambini al mare per una giornata.
Mi sono subito mostrata aperta e disponibile all'idea ma, in realtà, la cosa non mi convinceva per niente. Marisa è piuttosto anziana e suo marito pure, inoltre, il mare dista 100 km da casa e la strada è pessima per arrivarci, senza contare che i miei figli sono davvero impegnativi in spiaggia perché, presi dall'eccitazione, non sentono e non vedono i pericoli. Mi ha consolato sapere che anche il papà la pensava come me: tanti dubbi facevano da sottofondo alla nostra ansia. Strano ritrovarsi di nuovo insieme, io e lui con un'emozione da condividere: lasciar andare i nostri figli per la prima volta!
Ho deciso di concentrarmi sulle cose positive e di mettere da parte la preoccupazione incalzante. Marisa è un punto di riferimento per me e per i miei figli anche se ultimamente, un po' perchè la crisi economica incalza, un po' perchè i figli crescono, la chiamo sempre meno per aiutarmi con i bambini. Questo piccolo break, quindi, poteva riconsolidare il legame e far bene alla tata, inoltre, sentivo che poteva essere un passo importante da fare.
Io e il papà abbiamo dato il nostro benestare e i bimbi sono partiti per la loro giornata al mare, senza genitori verso le nove del mattino di un giovedì caldo e afoso. Due le raccomandazioni condivise con la tata: "chiamami quando arrivi e chiamami quando riparti". Ho specificato poi che, se non fossero partiti per le 18, avrei chiamato io perchè alle 18.15 mi aspettava un'importante riunione di lavoro.
Ore 10.00: nessuna chiamata
Ore 11.00: nessuna chiamata
Ore 12.00: nessuna chiamata
Ore 12.01: chiamo io ma nessuna risposta
Ore 12.02: chiamo io ma nessuna risposta
Ore 12.03: chiamo io ma nessuna risposta e così via fino alle 13
Ore 13.00: chiama la tata per dirmi che è tutto ok (sono arrivati alle 10.30) e per scusarsi.
Finalmente posso iniziare la mia giornata!
Ore 18.00: chiamo io per sapere gli sviluppi sul rientro, nessuna risposta
Ore 18.30: esco dalla riunione e chiamo io ma nessuna risposta
Ore 18.45: nessuna risposta
Ore 19.00: mi chiama la tata per dirmi che è tutto ok e per scusarsi.
A cena rientro a casa, mi sento con il mio ex che mi informa in merito al fatto che i cuccioli si fermano a mangiare al mare e rientreranno verso le 22.00.
Ore 22.00: nessun rientro
Ore 22.15: nessun rientro
Ore 22.30: nessun rientro
Ore 22.45: chiamo per sapere ma nessuna risposta.
Il mio castello di sabbia, sostenuto da tante buone intenzioni ma da pochi convincimenti, si stava sgretolando sotto i miei occhi.
Ore 23.00: chiamo e mi dicono che stanno arrivando.
Arrivo alle 23.30: bambini sani e salvi, mamma e babbo alquanto incazzati!
Il giorno dopo urgeva un confronto con la tata e, quindi, l'ho cercato!
Non c'erano molte spiegazioni in fondo: il tempo era semplicemente volato e le erano sfuggite le possibili ansie di una mamma in erba.
E allora mi sono chiesta: erano giustificate le mie ansie? Aveva un senso il disagio che ho provato?
Ad oggi, ancora non mi sono data una risposta!
Forse perché, ancora una volta, la risposta la cerco con la mente ma, in realtà, dovrei cercarla con il cuore!
Mi sono subito mostrata aperta e disponibile all'idea ma, in realtà, la cosa non mi convinceva per niente. Marisa è piuttosto anziana e suo marito pure, inoltre, il mare dista 100 km da casa e la strada è pessima per arrivarci, senza contare che i miei figli sono davvero impegnativi in spiaggia perché, presi dall'eccitazione, non sentono e non vedono i pericoli. Mi ha consolato sapere che anche il papà la pensava come me: tanti dubbi facevano da sottofondo alla nostra ansia. Strano ritrovarsi di nuovo insieme, io e lui con un'emozione da condividere: lasciar andare i nostri figli per la prima volta!
Ho deciso di concentrarmi sulle cose positive e di mettere da parte la preoccupazione incalzante. Marisa è un punto di riferimento per me e per i miei figli anche se ultimamente, un po' perchè la crisi economica incalza, un po' perchè i figli crescono, la chiamo sempre meno per aiutarmi con i bambini. Questo piccolo break, quindi, poteva riconsolidare il legame e far bene alla tata, inoltre, sentivo che poteva essere un passo importante da fare.
Io e il papà abbiamo dato il nostro benestare e i bimbi sono partiti per la loro giornata al mare, senza genitori verso le nove del mattino di un giovedì caldo e afoso. Due le raccomandazioni condivise con la tata: "chiamami quando arrivi e chiamami quando riparti". Ho specificato poi che, se non fossero partiti per le 18, avrei chiamato io perchè alle 18.15 mi aspettava un'importante riunione di lavoro.
Ore 10.00: nessuna chiamata
Ore 11.00: nessuna chiamata
Ore 12.00: nessuna chiamata
Ore 12.01: chiamo io ma nessuna risposta
Ore 12.02: chiamo io ma nessuna risposta
Ore 12.03: chiamo io ma nessuna risposta e così via fino alle 13
Ore 13.00: chiama la tata per dirmi che è tutto ok (sono arrivati alle 10.30) e per scusarsi.
Finalmente posso iniziare la mia giornata!
Ore 18.00: chiamo io per sapere gli sviluppi sul rientro, nessuna risposta
Ore 18.30: esco dalla riunione e chiamo io ma nessuna risposta
Ore 18.45: nessuna risposta
Ore 19.00: mi chiama la tata per dirmi che è tutto ok e per scusarsi.
A cena rientro a casa, mi sento con il mio ex che mi informa in merito al fatto che i cuccioli si fermano a mangiare al mare e rientreranno verso le 22.00.
Ore 22.00: nessun rientro
Ore 22.15: nessun rientro
Ore 22.30: nessun rientro
Ore 22.45: chiamo per sapere ma nessuna risposta.
Il mio castello di sabbia, sostenuto da tante buone intenzioni ma da pochi convincimenti, si stava sgretolando sotto i miei occhi.
Ore 23.00: chiamo e mi dicono che stanno arrivando.
Arrivo alle 23.30: bambini sani e salvi, mamma e babbo alquanto incazzati!
Non c'erano molte spiegazioni in fondo: il tempo era semplicemente volato e le erano sfuggite le possibili ansie di una mamma in erba.
E allora mi sono chiesta: erano giustificate le mie ansie? Aveva un senso il disagio che ho provato?
Ad oggi, ancora non mi sono data una risposta!
Forse perché, ancora una volta, la risposta la cerco con la mente ma, in realtà, dovrei cercarla con il cuore!
lunedì 14 luglio 2014
With or without you
Domani rientrano i miei figli dal mare ed è tempo di bilanci.
Due settimane senza bambini sono tante, tante le riflessioni che arrivano, tante le sensazioni che si provano.
Senza bambini riesci ad avere tempo per prendere un aperitivo con una cara amica.
Senza bambini la colazione del mattino ha l'oro in bocca.
Senza bambini riesci a trattenerti fino a tardi a lavoro.
Senza bambini riesci dopo anni a fare il sonnellino pomeridiano.
Senza bambini le tue giornate sembrano tanto lunghe e ci entrano tante cose.
Senza bambini ti senti piena di energie per dedicarti a te stessa.
Senza bambini hai la possibilità di scegliere tra un buon film da vedere e un buon libro da leggere.
Senza bambini riesci ad assaporare il cibo che prepari e ti accorgi che è buono.
Senza bambini il silenzio diventa un grande amico e consigliere.
Senza bambini fai tanti progetti... da realizzare quando i bambini torneranno. E poi ritornano.
Con i bambini le serate con una cara amica si fanno sempre più rare.
Con i bambini la colazione è una corsa contro il tempo.
Con i bambini la sera esci in orario dal lavoro e, se non finisci, ti porti il lavoro a casa.
Con i bambini la pennica pomeridiana è un lusso che costa caro (puoi trovare la casa distrutta al tuo risveglio!).
Con i bambini le giornate volano e sono piene come una "città di mare a ferragosto".
Con i bambini nemmeno ti poni il problema di dedicarti a te stessa.
Con i bambini il verbo "scegliere" viene rimosso dal tuo vocabolario.
Con i bambini il cibo cambia funzione: deve generare nutrimento e non piacere.
Con i bambini il silenzio scompare, come un fantasma spaventato dalla luce del giorno.
Con i bambini quanta fatica!
Poi capita che lasci scorrere le mille cose a cui pensare, lasci andare i mille ruoli da ricoprire e inizi a percepire l'energia che generano i tuoi figli, un'energia che si condensa in ogni momento del quotidiano, che fa da sottofondo alle giornate, la palpi e la senti quell'energia.
E poi, in un colpo solo, arriva il senso profondo e la risposta a tutti i tuoi perché.
Due settimane senza bambini sono tante, tante le riflessioni che arrivano, tante le sensazioni che si provano.
Senza bambini riesci ad avere tempo per prendere un aperitivo con una cara amica.
Senza bambini la colazione del mattino ha l'oro in bocca.
Senza bambini riesci a trattenerti fino a tardi a lavoro.
Senza bambini riesci dopo anni a fare il sonnellino pomeridiano.
Senza bambini le tue giornate sembrano tanto lunghe e ci entrano tante cose.
Senza bambini ti senti piena di energie per dedicarti a te stessa.
Senza bambini hai la possibilità di scegliere tra un buon film da vedere e un buon libro da leggere.
Senza bambini riesci ad assaporare il cibo che prepari e ti accorgi che è buono.
Senza bambini il silenzio diventa un grande amico e consigliere.
Senza bambini fai tanti progetti... da realizzare quando i bambini torneranno. E poi ritornano.
Con i bambini le serate con una cara amica si fanno sempre più rare.
Con i bambini la colazione è una corsa contro il tempo.
Con i bambini la sera esci in orario dal lavoro e, se non finisci, ti porti il lavoro a casa.
Con i bambini la pennica pomeridiana è un lusso che costa caro (puoi trovare la casa distrutta al tuo risveglio!).
Con i bambini le giornate volano e sono piene come una "città di mare a ferragosto".
Con i bambini nemmeno ti poni il problema di dedicarti a te stessa.
Con i bambini il verbo "scegliere" viene rimosso dal tuo vocabolario.
Con i bambini il cibo cambia funzione: deve generare nutrimento e non piacere.
Con i bambini il silenzio scompare, come un fantasma spaventato dalla luce del giorno.
Con i bambini quanta fatica!
Poi capita che lasci scorrere le mille cose a cui pensare, lasci andare i mille ruoli da ricoprire e inizi a percepire l'energia che generano i tuoi figli, un'energia che si condensa in ogni momento del quotidiano, che fa da sottofondo alle giornate, la palpi e la senti quell'energia.
E poi, in un colpo solo, arriva il senso profondo e la risposta a tutti i tuoi perché.
domenica 6 luglio 2014
Mi pento e mi consolo
Ad un certo punto della loro vacanza mi mancano così tanto che decido di partire e andare a trovarli.
Lo faccio ogni anno... e poi mi pento.
Mi pento perché inevitabilmente si ristabilisce quel clima "pre-separazione" che non fa bene a nessuno.
Mi pento perché creo delusione diffusa al non perpetuarsi di quel clima.
Mi pento perché i miei figli mi fanno tante domande a cui non so rispondere.
Mi pento perché mi sento tanto sola quando rientro a casa.
Mi pento perché penso che tutto sommato potevamo essere una bella famiglia.
Mi pento perché, ritrovarsi tutti insieme, mi costringe a rimettere indietro l'orologio della vita.
Poi passa qualche ora, qualche giorno e mi consolo.
Mi consolo perché sono uscita a testa alta da questa maledetta separazione.
Mi consolo perché da sola ora so fare tante cose.
Mi consolo perché i miei figli mi dicono sempre meno spesso "mamma mi manca babbo".
Mi consolo perché sono sicura che un futuro nuovo mi attende.
Mi consolo perché la vita è così, alti e bassi che si alternano ciclicamente e dobbiamo farcene una ragione.
Guai a guardare in giù quando arriva la fase discendente perché si affonda sempre di più.
Guai a guardare troppo in su quando arriva la fase ascendente perché le aspettative possono farci perdere di vista la realtà.
Perché, come dice la grande Mercedes Sosa, "TODO CAMBIA"!
giovedì 26 giugno 2014
Genitori troppo severi (con sé stessi): un SOS molto sofferto!
Avevo due giorni liberi e ho deciso di partire con i miei 2 figli per il mare.
Non è facile per me decidermi, da sola con 2 bambini al seguito è sempre complicato, in passato nei piccoli viaggi che ho intrapreso con loro non riuscivo a trovare il tempo nemmeno per una doccia!
Ma con questa ansia incombente non mi decido mai a muovermi e l'idea di una "mamma statica" proprio non mi va giù!
Imperfetta si, complicata si, ma passiva proprio no! Così mi sono decisa: ho prenotato un villaggio al volo a circa un'ora e mezza di macchina da casa e sono partita.
Le prime ore sono trascorse serene, sempre alle prese con mille esigenze da soddisfare, ma serene. Non ho ancora capito perché i miei figli diventano tanto esigenti quando siamo in vacanza: forse cambiando ambiente necessitano di maggiori rassicurazioni, oppure è semplicemente l'età, oppure percepiscono la mia ansia e, a modo loro, la somatizzano con una maggiore richiesta di attenzione. In ogni modo in vacanza, entrambe le creature, diventano molto richiedenti (per non dire insopportabili!).
Poi è successo che il mio cucciolo di 4 anni si è ferito ad un piede, ha pianto interrottamente per 2 ore ed io, non riuscendo a contenere la sua agitazione, l'ho nutrita. Ore di disperazione infantile che hanno aumentato il mio malumore. Non era una ferita "da ospedale" ma era abbastanza grande da necessitare una vistosa fasciatura e da non consentire bagni a mare e giochi nella sabbia.
A un certo punto è subentrata la fatidica domanda: faccio venire il papà a prendere il cucciolo o lo tengo con me consapevole delle difficoltà? L'indecisione è prevalsa per tutta la giornata, il cucciolo non metteva più il piede in terra ed io ero divisa tra la voglia di cavarmela da sola e la stanchezza che incalzava. Mi sono consultata telefonicamente con il papà e insieme abbiamo valutato opportuno portare via il piccolo e così il mio ex, alle ore 22.30 circa di un venerdì di inizio estate, è venuto a prendere l'infortunato.
Passato il trambusto, quando mi sono ritrovata a letto di notte a pensare alla giornata, avevo la mia bambina di 8 anni abbracciata a me, ero esausta ma non riuscivo a dormire, sentivo che c'era ancora qualcosa che non andava. Non ero serena e mi chiedevo: che messaggio ho dato al mio cucciolo portandolo via?
- Che la mamma non sa cavarsela davanti alle difficoltà?
- Che lui può permettersi "mille esasperazioni" tanto ha comunque l'attenzione di mamma e papà?
Piano piano il disagio ha lasciato il posto alla riflessione più consapevole ed ho pensato che spesso noi genitori siamo troppo severi con noi stessi e non rispettiamo le nostre debolezze.
Ero in difficoltà e ho chiesto aiuto: forse anche questo può essere un messaggio per i miei figli. La solitudine è una dimensione importante da gestire ma bisogna, se occorre, tirare i remi in barca e lanciare un SOS.
Il mio SOS ha raggiunto il loro papà che, con la serenità e l'equilibrio di sempre, è venuto in mio soccorso.
Forse è proprio questo alla fine che, quella notte, non mi riuscivo a perdonare.
Non è facile per me decidermi, da sola con 2 bambini al seguito è sempre complicato, in passato nei piccoli viaggi che ho intrapreso con loro non riuscivo a trovare il tempo nemmeno per una doccia!
Ma con questa ansia incombente non mi decido mai a muovermi e l'idea di una "mamma statica" proprio non mi va giù!
Imperfetta si, complicata si, ma passiva proprio no! Così mi sono decisa: ho prenotato un villaggio al volo a circa un'ora e mezza di macchina da casa e sono partita.
Le prime ore sono trascorse serene, sempre alle prese con mille esigenze da soddisfare, ma serene. Non ho ancora capito perché i miei figli diventano tanto esigenti quando siamo in vacanza: forse cambiando ambiente necessitano di maggiori rassicurazioni, oppure è semplicemente l'età, oppure percepiscono la mia ansia e, a modo loro, la somatizzano con una maggiore richiesta di attenzione. In ogni modo in vacanza, entrambe le creature, diventano molto richiedenti (per non dire insopportabili!).
Poi è successo che il mio cucciolo di 4 anni si è ferito ad un piede, ha pianto interrottamente per 2 ore ed io, non riuscendo a contenere la sua agitazione, l'ho nutrita. Ore di disperazione infantile che hanno aumentato il mio malumore. Non era una ferita "da ospedale" ma era abbastanza grande da necessitare una vistosa fasciatura e da non consentire bagni a mare e giochi nella sabbia.
A un certo punto è subentrata la fatidica domanda: faccio venire il papà a prendere il cucciolo o lo tengo con me consapevole delle difficoltà? L'indecisione è prevalsa per tutta la giornata, il cucciolo non metteva più il piede in terra ed io ero divisa tra la voglia di cavarmela da sola e la stanchezza che incalzava. Mi sono consultata telefonicamente con il papà e insieme abbiamo valutato opportuno portare via il piccolo e così il mio ex, alle ore 22.30 circa di un venerdì di inizio estate, è venuto a prendere l'infortunato.
Passato il trambusto, quando mi sono ritrovata a letto di notte a pensare alla giornata, avevo la mia bambina di 8 anni abbracciata a me, ero esausta ma non riuscivo a dormire, sentivo che c'era ancora qualcosa che non andava. Non ero serena e mi chiedevo: che messaggio ho dato al mio cucciolo portandolo via?
- Che la mamma non sa cavarsela davanti alle difficoltà?
- Che lui può permettersi "mille esasperazioni" tanto ha comunque l'attenzione di mamma e papà?
Piano piano il disagio ha lasciato il posto alla riflessione più consapevole ed ho pensato che spesso noi genitori siamo troppo severi con noi stessi e non rispettiamo le nostre debolezze.
Ero in difficoltà e ho chiesto aiuto: forse anche questo può essere un messaggio per i miei figli. La solitudine è una dimensione importante da gestire ma bisogna, se occorre, tirare i remi in barca e lanciare un SOS.
Il mio SOS ha raggiunto il loro papà che, con la serenità e l'equilibrio di sempre, è venuto in mio soccorso.
Forse è proprio questo alla fine che, quella notte, non mi riuscivo a perdonare.
giovedì 19 giugno 2014
Stasera ho toccato con mano il... COWORKING
Ieri ho visto su facebook un invito girato da una conoscente che ha attirato la mia attenzione.
Parlava di un ciclo di incontri "Web to work” dedicato ai lavori creativi nell’era digitale, tutto organizzato da una società di coworking nata da poco sul mio territorio.
Solo fino a qualche mese fa la cosa sarebbe passata completamente inosservata ai miei occhi, ma ieri sera ha catturato il mio interesse e, di conseguenza, ha popolato la mia agenda elettronica: ho deciso che avrei partecipato all'incontro.
Due sono state le parole significative che hanno acceso la mia lampadina interiore e mi hanno coinvolta d'istinto sull'evento.
Prima parola: c o w o r k i n g. Per natura sono attratta da tutto ciò che inizia con il prefisso "co", mi evoca un senso di collaborazione e di unione a cui non posso resistere. Inoltre, qualche mese fa, una mia cara amica mi ha fatto leggere il progetto imprenditoriale che stava mettendo su insieme ad altre persone proprio sul tema del coworking e, quindi, con l'occasione avevo approfondito.
Seconda parola: w e b. Sono partita da poco con questo blog e tutto ciò che può aiutarmi ad entrarci più in contatto mi interessa: un contatto puro e sentito per questo nuovo canale di comunicazione ancora tutto da esplorare.
Ma che cos'è il coworking? In sintesi (mi scuseranno gli addetti ai lavori se sono poco dettagliata) il coworking è un ambiente in cui professionisti e aziende affittano una "location di lavoro", quindi, pagano un canone mensile per avere una scrivania, un telefono, una connessione internet, più servizi accessori di gestione ufficio. Ma, in realtà, il valore vero del "coworking" nasce dal fatto che queste persone che affittano la postazione e che, quindi, lavorano su ambiti diversi ma sono vicine fisicamente, si confrontano e si relazionano costantemente aumentando il grado di creatività: il lavoro di tutti i giorni acquista valore dall'interazione.
Nella mia città il tema non è ancora decollato, l'ho percepito perché non c'erano molte persone a quest'evento, ho percepito tanta energia e tanto movimento ma ancora pochi professionisti coinvolti. Io però intravedo enormi potenzialità per il coworking. Ho lavorato tanto in team e ne sono uscita sempre arricchita nonostante la squadra fosse composta comunque da persone che lavoravano per la stessa azienda e più o meno con gli stessi background professionali. Figuriamoci cosa può uscire da un confronto con società diverse che lavorano in ambiti diversi, con modalità e provenienze diverse.
Ben inteso il coworking è cosa diversa dal lavoro di team, in ogni modo io credo in un contesto professionale versatile e aperto al confronto dove le idee possono circolare e alimentarsi a vicenda e dove non esitono "orti privati da coltivare" ma un grande giardino fiorito di cui prendersi cura tutti insieme.
Questa idea, che nel mio piccolo provo a mettere in pratica tutti i giorni quando vado a lavoro, potrebbe sembrare un po' utopistica, un po' troppo elevata per il contesto utilitaristico che ci circonda ma, alla fine, rappresenta l'idea di società che ho in mente e che spero di trasmettere, consciamente o inconsciamente, al mondo che mi circonda.
Parlava di un ciclo di incontri "Web to work” dedicato ai lavori creativi nell’era digitale, tutto organizzato da una società di coworking nata da poco sul mio territorio.
Solo fino a qualche mese fa la cosa sarebbe passata completamente inosservata ai miei occhi, ma ieri sera ha catturato il mio interesse e, di conseguenza, ha popolato la mia agenda elettronica: ho deciso che avrei partecipato all'incontro.
Due sono state le parole significative che hanno acceso la mia lampadina interiore e mi hanno coinvolta d'istinto sull'evento.
Prima parola: c o w o r k i n g. Per natura sono attratta da tutto ciò che inizia con il prefisso "co", mi evoca un senso di collaborazione e di unione a cui non posso resistere. Inoltre, qualche mese fa, una mia cara amica mi ha fatto leggere il progetto imprenditoriale che stava mettendo su insieme ad altre persone proprio sul tema del coworking e, quindi, con l'occasione avevo approfondito.
Seconda parola: w e b. Sono partita da poco con questo blog e tutto ciò che può aiutarmi ad entrarci più in contatto mi interessa: un contatto puro e sentito per questo nuovo canale di comunicazione ancora tutto da esplorare.
Ma che cos'è il coworking? In sintesi (mi scuseranno gli addetti ai lavori se sono poco dettagliata) il coworking è un ambiente in cui professionisti e aziende affittano una "location di lavoro", quindi, pagano un canone mensile per avere una scrivania, un telefono, una connessione internet, più servizi accessori di gestione ufficio. Ma, in realtà, il valore vero del "coworking" nasce dal fatto che queste persone che affittano la postazione e che, quindi, lavorano su ambiti diversi ma sono vicine fisicamente, si confrontano e si relazionano costantemente aumentando il grado di creatività: il lavoro di tutti i giorni acquista valore dall'interazione.
Nella mia città il tema non è ancora decollato, l'ho percepito perché non c'erano molte persone a quest'evento, ho percepito tanta energia e tanto movimento ma ancora pochi professionisti coinvolti. Io però intravedo enormi potenzialità per il coworking. Ho lavorato tanto in team e ne sono uscita sempre arricchita nonostante la squadra fosse composta comunque da persone che lavoravano per la stessa azienda e più o meno con gli stessi background professionali. Figuriamoci cosa può uscire da un confronto con società diverse che lavorano in ambiti diversi, con modalità e provenienze diverse.
Ben inteso il coworking è cosa diversa dal lavoro di team, in ogni modo io credo in un contesto professionale versatile e aperto al confronto dove le idee possono circolare e alimentarsi a vicenda e dove non esitono "orti privati da coltivare" ma un grande giardino fiorito di cui prendersi cura tutti insieme.
Questa idea, che nel mio piccolo provo a mettere in pratica tutti i giorni quando vado a lavoro, potrebbe sembrare un po' utopistica, un po' troppo elevata per il contesto utilitaristico che ci circonda ma, alla fine, rappresenta l'idea di società che ho in mente e che spero di trasmettere, consciamente o inconsciamente, al mondo che mi circonda.
sabato 14 giugno 2014
Quando fuori piove... dentro si gioca!
Stamattina non sembra proprio una mattina di quasi estate!
Fuori piove a dirotto e dentro casa ho il mio cucciolo di 4 anni con la febbre alta e la mia cucciola di 8 anni che ha appena finito il suo ciclo di antibiotici per curare un'otite devastante.
Eppure siamo a giugno! Quando io ero piccola mi ammalavo solo d'inverno e non più di 2 influenze all'anno, oggi le cose sembrano cambiate, i miei figli si ammalano spessissimo e spesso anche d'estate.
La notte è stata molto faticosa, anche perchè io cerco di non combattere la febbre e, quindi, non uso la tachipirina se posso, ma, visto che la febbre è una reazione positiva del corpo, di solito provo con molta fatica a fare in modo che la reazione faccia il suo corso senza toglierle forza. E' così è stato: tutta la notte a bagnare la fronte al mio piccolo, tutta la notte a rassicurarlo con amore e tanta tanta stanchezza..ma stamane va meglio!
Cosa fare però in questa mattinata estiva chiusi in casa: 1 mamma quarantenne e 2 bambini piccoli? Si gioca con le costruzioni, si gioca con un gioco dell'oca fatto riciclando un vecchio cartone e ... ho trovato: SI FA IL DIDO'!
Questa ricetta è meravigliosa, pochi ingredienti che mescolati insieme in pochi minuti fanno una pasta modellabile sicura e morbida, che dura anche un anno se ben conservata in frigo.
Ingredienti: 2 tazze di farina, 1 tazza di sale fino, mezza tazza di maizena, 2 cucchiai di olio di semi, 1 cucchiaio abbondante di cremor tartaro, 2 tazze di acqua e un po' di colorante alimentare in polvere (del colore che si preferisce, io ho usato il verde).
Istruzioni: mettere tutto insieme in una pentola antiaderente, nell'ordine stesso in cui ho elencato gli ingredienti. Mescolare a fuoco moderato fino a quando gli ingredienti non si amalgamano insieme (più o meno 10 minuti), portare a bollore per un attimo, far raffreddare e il gioco è fatto!
Ora si che ci si può divertire!
Balene e delfini, tartarughe e granchi, aereoplani e trenini!
Due mani, una pasta modellabile e il cuore di un bambino possono dar vita a qualsiasi cosa!
Fuori piove a dirotto e dentro casa ho il mio cucciolo di 4 anni con la febbre alta e la mia cucciola di 8 anni che ha appena finito il suo ciclo di antibiotici per curare un'otite devastante.
Eppure siamo a giugno! Quando io ero piccola mi ammalavo solo d'inverno e non più di 2 influenze all'anno, oggi le cose sembrano cambiate, i miei figli si ammalano spessissimo e spesso anche d'estate.
La notte è stata molto faticosa, anche perchè io cerco di non combattere la febbre e, quindi, non uso la tachipirina se posso, ma, visto che la febbre è una reazione positiva del corpo, di solito provo con molta fatica a fare in modo che la reazione faccia il suo corso senza toglierle forza. E' così è stato: tutta la notte a bagnare la fronte al mio piccolo, tutta la notte a rassicurarlo con amore e tanta tanta stanchezza..ma stamane va meglio!
Cosa fare però in questa mattinata estiva chiusi in casa: 1 mamma quarantenne e 2 bambini piccoli? Si gioca con le costruzioni, si gioca con un gioco dell'oca fatto riciclando un vecchio cartone e ... ho trovato: SI FA IL DIDO'!
Questa ricetta è meravigliosa, pochi ingredienti che mescolati insieme in pochi minuti fanno una pasta modellabile sicura e morbida, che dura anche un anno se ben conservata in frigo.
Ingredienti: 2 tazze di farina, 1 tazza di sale fino, mezza tazza di maizena, 2 cucchiai di olio di semi, 1 cucchiaio abbondante di cremor tartaro, 2 tazze di acqua e un po' di colorante alimentare in polvere (del colore che si preferisce, io ho usato il verde).
Istruzioni: mettere tutto insieme in una pentola antiaderente, nell'ordine stesso in cui ho elencato gli ingredienti. Mescolare a fuoco moderato fino a quando gli ingredienti non si amalgamano insieme (più o meno 10 minuti), portare a bollore per un attimo, far raffreddare e il gioco è fatto!
Ora si che ci si può divertire!
Balene e delfini, tartarughe e granchi, aereoplani e trenini!
Due mani, una pasta modellabile e il cuore di un bambino possono dar vita a qualsiasi cosa!
martedì 10 giugno 2014
Non ci sono più le sagre di una volta!
Qualche sera fa ho deciso di visitare la sagra del mio
paese. Abito lì da 10 anni ma non ci sono mai stata, non so perché, non c’è una motivazione precisa,
semplicemente non c'è mai stata l'occasione favorevole. Quest’anno, incuriosita dal fatto
che tutti ne parlavano, percependo un po’ di fermento intorno all’evento, ho deciso di
farci un salto con i miei figli. Le mie aspettative erano tutte orientate al
cibo e al divertimento all’aria aperta per i miei bambini, quindi, fornita di
scarpette da ginnastica, buona volontà e una bottiglietta d’acqua, mi sono
incamminata. Non potevo immaginare che
accanto alla carne alla brace e all’orchestra di liscio avrei trovato una
postazione finemente addobbata per ospitare diverse playstation, un mega camion
con cinema 6D e una giostra gonfiabile di quelle che vanno tanto di moda oggi,
dove lasci i figli e li riprendi sfiniti dopo qualche ora. La mia sorpresa ha lasciato posto un po’alla volta al
mio disorientamento, i bambini intorno a me erano
sempre più coinvolti dai giochini elettronici e dalla loro busta di patatine
fritte piuttosto che dall’interagire l’un l’altro. C'era un campo di
calcio, un pony e qualche cavallo
all’aria aperta, ma il loro interesse era tutto per queste postazioni
elettroniche dalle quali diventava sempre più difficile staccarsi…
E allora mi sono chiesta: è possibile mai che anche queste antiche occasioni di convivialità hanno bisogno di tecnologia, elettronica, e gonfiabili?
E allora mi sono chiesta: è possibile mai che anche queste antiche occasioni di convivialità hanno bisogno di tecnologia, elettronica, e gonfiabili?
Non voglio sembrare radicale, né voglio appellarmi a tutti
quegli studi che confermano le potenziali difficoltà dei bambini che trascorrono troppo
tempo (più di 2 ore al giorno) davanti a tv/playstation. I miei figli guardano
la tv ogni tanto e non voglio demonizzare questo strumento di comunicazione di massa così
diffuso: i bambini devono poter
sperimentare quello che li circonda. Ma ogni cosa ha il suo posto! Non capisco infatti
il bisogno di attribuire, anche alle
sagre paesane, una connotazione moderna
e tecnologica che smorza allegria e
interazione sociale.
Non ho mai pensato di regalare ai miei figli una playstation per Natale, so come andrebbe a finire, ore e ore senza staccarsi mai dall'aggeggio, ricercando soddisfazione e gratificazione da un pulsante e un manubrio. Adoro troppo invece quando i miei figli giocano e litigano insieme, perché è proprio in quel momento, proprio in quell’istante in cui io non ne posso più e li vorrei zitti e buoni a rassicurare la mia stanchezza, loro stanno imparando quell’arte, preziosa e costruttiva, che tanto gli servirà da grandi nella vita di tutti i giorni: l’arte di gestire le proprie relazioni.
Non ho mai pensato di regalare ai miei figli una playstation per Natale, so come andrebbe a finire, ore e ore senza staccarsi mai dall'aggeggio, ricercando soddisfazione e gratificazione da un pulsante e un manubrio. Adoro troppo invece quando i miei figli giocano e litigano insieme, perché è proprio in quel momento, proprio in quell’istante in cui io non ne posso più e li vorrei zitti e buoni a rassicurare la mia stanchezza, loro stanno imparando quell’arte, preziosa e costruttiva, che tanto gli servirà da grandi nella vita di tutti i giorni: l’arte di gestire le proprie relazioni.
sabato 31 maggio 2014
L’amaca della discordia: mamma e figli si confrontano
Stamattina, come tanti altri sabati senza asilo e senza
scuola, io e i miei due figli ci siamo alzati presto e siamo andati a fare
colazione fuori. Invece della solita pasticceria siamo andati al panificio: pane
caldo e succo di frutta per colazione e poi via a fare i consueti acquisti del week
end: un amaca per il giardino, scarpe nuove per la stagione estiva e un pallone
per giocare in cortile con gli altri bimbi del vicinato. L’umore però è diventato
nero appena, rientrati a casa, ho iniziato
a montare l’amaca. Non era una vera amaca (quella che si appende tra due alberi,
anche perché il mio giardino non ha alberi in grado di ospitare questo tipo di
seduta) era un’amaca tenuta da una struttura in ferro. Il montaggio non è mai
stato il mio forte l’ho sempre saputo, non sono mai stata brava nemmeno con i
mobili Ikea, figuriamoci con questi aggeggi cinesi low cost pieni di viti e
bulloni. Volevo però cimentarmi lo stesso con questa attività, motivata anche
dall’entusiasmo dei miei bambini che non vedevano l’ora di inaugurare il nuovo
dondolo del giardino! Ma non avevo fatto i conti con la mia imbranataggine e
con l’irritabilità che subentra quando mi rendo conto di non riuscire a fare
qualcosa… senza l’aiuto maschile.
Io e il mio ex compagno avevamo dei compiti ben precisi in casa, io cucinavo e lui si dedicava a tutto ciò che necessitava di martelli/pinze/bulloni. Risultato ora che ci siamo separati: lui non riesce a cucinare nemmeno per il cane ed io mi rovino le giornate quando devo montare una stupida amaca!
La tensione stava crescendo e così ho deciso di comunicare il mio malumore ai miei figli, gli ho detto: “oggi mamma è nervosa sarà bene che collaboriate a rendere il clima più sereno perché altrimenti la nostra giornata potrebbe complicarsi”. E’ bastata questa condivisione, così semplice e naturale a cambiare l’atmosfera in casa. La mia figlia più grande mi si è seduta accanto e ha iniziato a collaborare nelle attività, mi passava i bulloni e mi suggeriva, guardando le istruzioni, ipotesi di assemblaggio. Il mio cucciolo di quattro anni invece, non potendo attivare la sua parte cognitiva ancora poca sviluppata per questo tipo di supporto, si è impegnato a ricercare complicità emotiva con me, mi accarezzava e mi diceva “sei bella mamma”. E allora anche io ho iniziato a percepire una nuova sensazione, fuori ma, soprattutto, dentro di me. Il mio corpo carico di tensioni ha iniziato a rilassarsi, sentivo le mani dei miei figli accarezzarmi dolcemente e i loro sorrisi pieni di gioia hanno riempito l’aria di serenità e buon umore. L’amaca quasi per magia si è montata da sola: un po’ di vicini sono arrivati in mio soccorso, il mio umore positivo mi ha consentito di racimolare più lucidità ingegneristica per il montaggio e la giornata è proseguita all’insegna del gioco e della rilassatezza.
Poi mi sono chiesta: cos’è che ha trasformato la mia giornata da negativa a positiva? Quale attività ha fattivamente contribuito a fare passare il mio malumore? Quasi a voler ricercare una buona pratica da applicare in altri momenti di difficoltà, ma non riuscivo a ricordarmi il dettaglio. Certo mi ricordavo della comprensione dei miei cuccioli, del loro affetto. Ma io cosa avevo fatto per generare questo cambio di rotta? E poi, dopo un po’, mi è venuto in mente: tutto è cambiato quando ho riconosciuto la mia rabbia, quando ho trasmesso il mio stato d’animo ai miei figli e, senza volerlo, gli ho chiesto aiuto, una richiesta che loro, esseri puri ed intuitivi come tutti i bambini del mondo, hanno colto al volo.
Io e il mio ex compagno avevamo dei compiti ben precisi in casa, io cucinavo e lui si dedicava a tutto ciò che necessitava di martelli/pinze/bulloni. Risultato ora che ci siamo separati: lui non riesce a cucinare nemmeno per il cane ed io mi rovino le giornate quando devo montare una stupida amaca!
La tensione stava crescendo e così ho deciso di comunicare il mio malumore ai miei figli, gli ho detto: “oggi mamma è nervosa sarà bene che collaboriate a rendere il clima più sereno perché altrimenti la nostra giornata potrebbe complicarsi”. E’ bastata questa condivisione, così semplice e naturale a cambiare l’atmosfera in casa. La mia figlia più grande mi si è seduta accanto e ha iniziato a collaborare nelle attività, mi passava i bulloni e mi suggeriva, guardando le istruzioni, ipotesi di assemblaggio. Il mio cucciolo di quattro anni invece, non potendo attivare la sua parte cognitiva ancora poca sviluppata per questo tipo di supporto, si è impegnato a ricercare complicità emotiva con me, mi accarezzava e mi diceva “sei bella mamma”. E allora anche io ho iniziato a percepire una nuova sensazione, fuori ma, soprattutto, dentro di me. Il mio corpo carico di tensioni ha iniziato a rilassarsi, sentivo le mani dei miei figli accarezzarmi dolcemente e i loro sorrisi pieni di gioia hanno riempito l’aria di serenità e buon umore. L’amaca quasi per magia si è montata da sola: un po’ di vicini sono arrivati in mio soccorso, il mio umore positivo mi ha consentito di racimolare più lucidità ingegneristica per il montaggio e la giornata è proseguita all’insegna del gioco e della rilassatezza.
Poi mi sono chiesta: cos’è che ha trasformato la mia giornata da negativa a positiva? Quale attività ha fattivamente contribuito a fare passare il mio malumore? Quasi a voler ricercare una buona pratica da applicare in altri momenti di difficoltà, ma non riuscivo a ricordarmi il dettaglio. Certo mi ricordavo della comprensione dei miei cuccioli, del loro affetto. Ma io cosa avevo fatto per generare questo cambio di rotta? E poi, dopo un po’, mi è venuto in mente: tutto è cambiato quando ho riconosciuto la mia rabbia, quando ho trasmesso il mio stato d’animo ai miei figli e, senza volerlo, gli ho chiesto aiuto, una richiesta che loro, esseri puri ed intuitivi come tutti i bambini del mondo, hanno colto al volo.
martedì 27 maggio 2014
Condivisioni a 40 anni
Poi è successa un’altra cosa, recentemente mi hanno trasferito di sede lavorativa e così ho ripreso contatti con un vecchio collega con cui avevo lavorato anni prima. Tra una pausa caffè e un’altra ho scoperto che Daniele è un papà (babbo dice lui) molto vicino alle dinamiche educative della sua bambina, legge, s’informa. Con Daniele parliamo di libri, di consapevolezza, di percorsi , sempre di corsa, sempre a pezzettini ma, “pillola dopo pillola”, ci siamo scoperti vicini. Vicini nel vivere la nostra genitorialità a tutto tondo, con un desiderio grande di conoscere e riconoscere quello che ci circonda fuori e dentro.
Io ho sempre coltivato la solitudine come una risorsa, mi piace stare da sola (come ora che scrivo su questo blog), amo l’atmosfera che si crea con una buona musica in sottofondo, la candela accesa e un buon libro a fianco… Ma insieme a questo amo e apprezzo la condivisione di “alto livello” come la chiamo io, quella che ti nutre, che ti apre a nuove riflessioni, ti consente di attivare una parte più profonda e più vera.
Da queste due amicizie, e da molto altro ancora, è nato
questo blog!
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