giovedì 26 giugno 2014

Genitori troppo severi (con sé stessi): un SOS molto sofferto!

Avevo due giorni liberi e ho deciso di partire con i miei 2 figli per il mare.
Non è facile per me decidermi, da sola con 2 bambini al seguito è sempre complicato, in passato nei piccoli viaggi che ho intrapreso con loro non riuscivo a trovare il tempo nemmeno per una doccia!
Ma con questa ansia incombente non mi decido mai a muovermi e l'idea di una "mamma statica" proprio non mi va giù! 
Imperfetta
si, complicata si, ma passiva proprio no! Così mi sono decisa: ho prenotato un villaggio al volo a circa un'ora e mezza di macchina da casa e sono partita.
Le prime ore sono trascorse serene, sempre alle prese con mille esigenze da soddisfare, ma serene. Non ho ancora capito perché  i miei figli diventano tanto esigenti quando siamo in vacanza: forse cambiando ambiente necessitano di maggiori rassicurazioni, oppure è semplicemente l'età, oppure percepiscono la mia ansia e, a modo loro, la somatizzano con una maggiore richiesta di attenzione. In ogni modo in vacanza, entrambe le creature, diventano molto richiedenti (per non dire insopportabili!).
Poi è successo che il mio cucciolo di 4 anni si è ferito ad un piede, ha pianto interrottamente per 2 ore ed io, non riuscendo a contenere la sua agitazione, l'ho nutrita. Ore di disperazione infantile che hanno aumentato il mio malumore. Non era una ferita "da ospedale" ma era abbastanza grande da necessitare una vistosa fasciatura e da non consentire bagni a mare e giochi nella sabbia.
A un certo punto è subentrata la fatidica domanda: faccio venire il papà a prendere il cucciolo o lo tengo con me consapevole delle difficoltà? L'indecisione è prevalsa per tutta la giornata, il cucciolo non metteva più il piede in terra  ed io ero divisa tra la voglia di cavarmela da sola e la stanchezza che incalzava. Mi sono consultata telefonicamente con il papà e insieme abbiamo valutato opportuno portare via il piccolo e così  il mio ex, alle ore 22.30 circa di un venerdì di inizio estate,  è venuto a prendere l'infortunato.
Passato il trambusto, quando mi sono ritrovata a letto di notte a pensare alla giornata, avevo la mia bambina di 8 anni abbracciata a me, ero esausta ma non riuscivo a dormire, sentivo che c'era ancora qualcosa che non andava. Non ero serena e mi chiedevo: che messaggio ho dato al mio cucciolo portandolo via?
- Che la mamma non sa cavarsela davanti alle difficoltà?
- Che lui può permettersi  "mille esasperazioni" tanto ha comunque l'attenzione di mamma e papà?

Piano piano il disagio ha lasciato il posto alla riflessione più consapevole ed ho pensato che spesso noi genitori siamo troppo severi con noi stessi  e non rispettiamo le nostre debolezze.
Ero in difficoltà e ho chiesto aiuto: forse anche questo può essere un messaggio per i miei figli. La solitudine è una dimensione importante da gestire ma bisogna, se occorre, tirare i remi in barca e lanciare un SOS.
Il mio SOS ha raggiunto il loro papà che, con la serenità e l'equilibrio di sempre, è venuto in mio soccorso.
Forse è proprio questo alla fine che, quella notte, non mi riuscivo a perdonare.

giovedì 19 giugno 2014

Stasera ho toccato con mano il... COWORKING

Ieri ho visto su facebook un invito girato da una conoscente che ha attirato la mia attenzione.
Parlava di un  ciclo di incontri "Web to work” dedicato ai lavori creativi nell’era digitale, tutto organizzato da una società di coworking nata da poco sul mio territorio.
Solo fino a qualche mese fa la cosa sarebbe passata completamente inosservata ai miei occhi, ma ieri sera ha catturato il mio interesse e, di conseguenza, ha popolato la mia agenda elettronica: ho deciso  che avrei partecipato all'incontro.
Due sono state  le parole significative che hanno acceso la mia lampadina interiore e mi hanno coinvolta d'istinto sull'evento.
Prima  parola: c o w o r k i n g. Per natura sono attratta da tutto ciò che inizia con il prefisso "co", mi evoca un senso di collaborazione e di unione a cui non posso resistere. Inoltre, qualche mese fa, una mia cara amica mi ha fatto leggere il progetto imprenditoriale che stava mettendo su insieme ad altre persone proprio sul tema del  coworking e, quindi, con l'occasione avevo approfondito.
Seconda parola: w e b. Sono partita da poco con questo blog e tutto ciò che può aiutarmi ad entrarci più in contatto mi interessa: un contatto puro e sentito per questo nuovo canale di comunicazione ancora tutto da esplorare.

Ma che cos'è il coworking? In sintesi (mi scuseranno gli addetti ai lavori se sono poco dettagliata) il coworking è un ambiente in cui professionisti e aziende affittano una "location di lavoro", quindi,  pagano un canone mensile per avere una scrivania, un telefono, una connessione internet, più servizi accessori di gestione ufficio. Ma, in realtà, il valore vero del "coworking"  nasce dal fatto che queste persone che affittano la postazione e che, quindi,  lavorano su ambiti diversi ma sono vicine fisicamente,   si confrontano e si relazionano costantemente aumentando il grado di creatività: il lavoro di tutti i giorni acquista valore dall'interazione.
Nella mia città il tema non è ancora decollato, l'ho percepito perché non c'erano molte persone a quest'evento, ho percepito tanta energia e tanto movimento ma ancora pochi professionisti coinvolti. Io però  intravedo enormi potenzialità per il coworking. Ho lavorato tanto in team e ne sono uscita sempre arricchita nonostante la squadra fosse composta comunque da persone che lavoravano per la stessa azienda e più o meno con gli stessi background professionali. Figuriamoci cosa può uscire da un confronto con società diverse che lavorano in ambiti diversi, con modalità e provenienze diverse.
Ben inteso il coworking è cosa diversa dal lavoro di team, in ogni modo io credo in un contesto professionale versatile e aperto al confronto dove le idee possono circolare e alimentarsi a vicenda e dove non esitono "orti privati da coltivare" ma un grande giardino fiorito di cui prendersi cura tutti insieme.
Questa idea, che nel mio piccolo provo a mettere in pratica tutti i giorni quando vado a lavoro, potrebbe sembrare un po' utopistica, un po' troppo elevata per il contesto utilitaristico che ci circonda ma, alla fine, rappresenta l'idea di società che ho in mente e che spero di trasmettere,  consciamente o inconsciamente, al mondo che mi circonda.




sabato 14 giugno 2014

Quando fuori piove... dentro si gioca!

Stamattina non sembra proprio una mattina di quasi estate!
Fuori piove a  dirotto e dentro casa ho il mio cucciolo di 4 anni con la febbre alta e la mia cucciola di 8 anni che ha appena finito il suo ciclo di antibiotici per curare un'otite devastante.
Eppure siamo a giugno! Quando io ero piccola mi ammalavo solo d'inverno e non più di 2 influenze all'anno, oggi le cose sembrano cambiate, i miei figli si ammalano spessissimo e spesso anche d'estate.
La notte è stata molto faticosa, anche perchè io cerco di non  combattere la febbre e, quindi,  non uso la tachipirina se posso, ma, visto che la febbre è una reazione positiva del corpo, di solito provo con molta fatica a fare in modo che la reazione faccia il suo corso senza toglierle forza. E' così è stato: tutta la notte a bagnare la fronte al mio piccolo, tutta la notte a rassicurarlo con amore e tanta tanta stanchezza..ma stamane va meglio!
Cosa fare però in questa mattinata estiva chiusi in casa: 1  mamma quarantenne e 2 bambini piccoli? Si gioca con le costruzioni, si gioca con un gioco dell'oca fatto riciclando un vecchio cartone e ... ho trovato: SI FA IL DIDO'!
Questa ricetta è meravigliosa, pochi ingredienti che mescolati insieme in pochi minuti fanno una pasta modellabile  sicura  e morbida,  che dura anche un anno se ben conservata in frigo.
Ingredienti: 2 tazze di farina, 1 tazza di sale fino, mezza tazza di maizena, 2 cucchiai di olio di semi, 1 cucchiaio abbondante di cremor tartaro, 2 tazze di acqua e un po' di colorante alimentare in polvere (del colore che si preferisce, io ho usato il verde).
Istruzioni: mettere tutto insieme in una pentola antiaderente, nell'ordine stesso in cui ho elencato gli ingredienti. Mescolare a fuoco moderato fino a quando gli ingredienti non si amalgamano insieme (più o meno 10 minuti), portare a bollore per un attimo, far raffreddare e il gioco è fatto!
Ora si che ci si può divertire!
Balene e delfini, tartarughe e granchi, aereoplani e trenini!
Due mani, una pasta modellabile e il cuore di un bambino possono dar vita a qualsiasi cosa!

martedì 10 giugno 2014

Non ci sono più le sagre di una volta!



Qualche sera fa ho deciso di visitare la sagra del mio paese. Abito lì da 10 anni ma non ci sono mai stata, non so perché,   non c’è una motivazione precisa, semplicemente non c'è mai stata l'occasione  favorevole. Quest’anno, incuriosita dal fatto che tutti ne parlavano, percependo un po’ di fermento intorno all’evento, ho deciso di farci un salto con i miei figli. Le mie aspettative erano tutte orientate al cibo e al divertimento all’aria aperta per i miei bambini, quindi, fornita di scarpette da ginnastica, buona volontà e una bottiglietta d’acqua, mi sono incamminata. Non potevo immaginare  che accanto alla carne alla brace e all’orchestra di liscio avrei trovato una postazione finemente addobbata per ospitare diverse playstation, un mega camion con cinema 6D e una giostra gonfiabile di quelle che vanno tanto di moda oggi, dove lasci i figli e li riprendi sfiniti dopo qualche ora. La mia sorpresa  ha lasciato posto un po’alla volta al mio disorientamento,  i bambini intorno a me erano sempre più coinvolti dai giochini elettronici e dalla loro busta di patatine fritte piuttosto che dall’interagire l’un l’altro. C'era un campo di calcio,  un pony e qualche cavallo all’aria aperta, ma  il loro interesse era tutto per queste postazioni elettroniche dalle quali diventava sempre più difficile staccarsi…
E allora mi sono chiesta:  è possibile mai che  anche  queste antiche occasioni di convivialità  hanno bisogno di  tecnologia, elettronica, e gonfiabili?
Non voglio sembrare radicale, né voglio appellarmi a tutti quegli studi che confermano le potenziali difficoltà dei bambini che trascorrono troppo tempo (più di 2 ore al giorno) davanti a tv/playstation. I miei figli guardano la tv ogni tanto  e non voglio  demonizzare  questo strumento di comunicazione di massa così diffuso:  i bambini devono poter sperimentare quello che li circonda. Ma ogni cosa ha il suo posto! Non capisco infatti il bisogno  di attribuire, anche alle sagre paesane, una  connotazione moderna e tecnologica che smorza allegria e interazione sociale.
Non ho mai  pensato di regalare ai miei figli una playstation per Natale, so come andrebbe a finire, ore e ore senza staccarsi mai dall'aggeggio,  ricercando soddisfazione e gratificazione da un pulsante e un manubrio. Adoro troppo invece quando i miei figli giocano e litigano insieme, perché è proprio in quel momento, proprio in quell’istante in cui io non ne posso più e li vorrei zitti e buoni  a rassicurare la mia stanchezza, loro stanno imparando quell’arte, preziosa e costruttiva, che tanto gli servirà da grandi nella vita di tutti i giorni: l’arte di gestire le proprie relazioni.